Uomini che sognano con coraggio

Ai sogni sono sensibile. Che siano miei o altrui non ha importanza. Mi piace l’alone che soffondono attorno alle persone che li amano come me, donando loro una luce del tutto particolare, capace di togliere aderenza al terreno e di farli alzare quanto basta per renderli più visibili. Ovviamente non mi accontento di un buon sogno: vorrei si traducesse senza fretta in altro, in qualsiasi altra cosa purchè meno evanescente e a rischio di sparizione. Se poi scopro che dal sogno più fantasioso qualcuno è riuscito ad ottenere la realizzazione più concreta, allora vado letteralmente in ebollizione, entro in fase innamoramento e non mi ferma più nessuno.

La premessa onirica era necessaria per introdurre una delle figure di sognatore più concreta mi sia mai capitata davanti negli ultimi anni. Diciamo che l’occasione è arrivata a circa mezzo secolo dal giorno in cui Giancarlo Zanardo – questo è il nome del protagonista di questa storia – conseguì il brevetto di Pilota Civile: era il 10 ottobre 1966 (io sono nata proprio il 10 ottobre, ma questo forse non conta). Per capire la sua determinazione dobbiamo immaginarlo bambino di 7 anni, in gita con i suoi compagni di classe al Sacello dedicato a Francesco Baracca, eretto subito dopo la Prima Guerra Mondiale. Siamo sul Montello, un colle pedemontano di 370 metri che si trova a poche decine di chilometri da Conegliano Veneto, la cittadina veneta in cui Giancarlo è nato e dove sta frequentando la seconda elementare. Brava senza dubbio la sua insegnante, capace di trasferire ai suoi allievi l’emozione per l’eroismo di questo pilota, caduto con il suo biplano proprio qui, durante un furioso duello aereo con un pilota austro-ungarico nel giugno 1918. Verrà trovato solo 4 giorni dopo, accanto al suo velivolo: ustionati a morte entrambi, ma per sempre uniti.

sacello baracca

Possiamo immaginare cosa succede alla mente di un ragazzino esuberante e creativo debitamente stimolata? Nel caso di Giancarlo lo sappiamo con certezza, perchè la storia l’ha raccontata lui stesso. Quel giorno fece una cosa che forse non avrebbe dovuto fare perchè era un po’ vietato e lui lo sapeva bene… Un’energia prepotente e sconosciuta gli ordinò di estrarre dalla sua tasca una matita e sulla base del monumento scrivere, in modo quasi invisibile, una frase che più che nella pietra restò per sempre impressa nella sua mente, plasmandola: “Un giorno diventerò pilota e volerò su un aeroplano come il tuo“. Era una promessa che stava facendo a Francesco Baracca, ma soprattutto a se stesso: era un impegno, e di quelli seri. Non lo poteva sapere, ma in realtà aveva avviato una dei meccanismi più importanti per la mente umana, come ci spiega fin troppo bene Goethe con queste parole, che paiono proprio scritte nella pietra.

Fino a che uno non si compromette,
c’è esitazione, possibilità di tornare indietro,
e sempre inefficacia.
Nel momento in cui uno si compromette definitivamente
una corrente di eventi ha inizio,
facendo sorgere a nostro favore
ogni tipo di cose imprevedibili,
incontri che nessuno avrebbe sognato
potessero venire in questo modo.
Tutto quello che puoi fare,
o sognare di poter fare
incomincialo.
Il coraggio ha in sé genio, potere e magia.
Incomincialo adesso.

W.J.Goethe
Cosa è accaduto in questi 50 anni non posso raccontarvelo sinteticamente: se vi sentite incuriositi potrei consigliarvi l’acquisto di un libro bellissimo, intitolato “L’alba del volo” dove troverete tutta la sua storia, illustrata dalle belle foto di Antonio Zuccon.
l'alba del volo
In compenso vi posso dire quel che Giancarlo, assieme a una banda di amici altrettanto appassionati, è riuscito a realizzare a Nervesa della Battaglia, proprio sulla spianata dove durante la Prima Guerra si è combattuta la famosa Battaglia del Solstizio, come la battezzò quel gran romanticone di Gabriele D’Annunzio. Si svolse in effetti al solstizio d’estate del 1918 ed ebbe come effetto quello di sferrare un durissimo colpo ai nostri nemici, che furono costretti ad indietreggiare (… il Piave mormorò….) senza poter irrompere in pianura, come era nei loro disegni.
Bene, esattamente in questo luogo, ora c’è un campo di volo d’erba, curatissimo, sopra al quale capita spesso di veder volteggiare uno dei numerosi aerei storici – sono delle ricostruzioni a volte fedeli, a volte “parzialmente riadattate” – a cui Giancarlo dedica ore e ore della sua passione.
Non sa solo pilotarli, li conosce bullone per bullone spesso perchè se li è costruiti da solo, e li tiene talmente in ordine che non c’è sopra neanche un granello di polvere. Ogni tanto è gli è capitato di avere qualche incidentino, talvolta qualche incidentone, ma lui è comunque sempre qui, tranquillo e tutto sommato felice della sua scelta, anche se ogni tanto minaccia la sua truppa di chiudere tutto e andare lontano.
Dobbiamo credergli? Non lo conosco abbastanza per dirlo… So solo che l’anno prossimo, il 18 giugno, ci sarà l’annuale commemorazione dedicata a Francesco Baracca – il Baracca Day appunto – e scommetto un volo in biplano che lo Zanardo sarà presente come negli ultimi 20 anni. Qualcosa di diverso ci sarà in ogni caso visto che ho tutte le intenzioni di esserci anch’io e di portarmi dietro un bel po’ di amici milanesi, perchè se raccontassi loro che sopra a questo campo volo si ricostruiscono ogni anno le battaglie aeree della battaglia del Solstizio, forse non mi crederebbero: meglio assistano di persona!
Curiosità:
 – la Fondazione nata nel 2011 allo scopo di organizzare tutte le attività del campo volo si chiama Jonathan, in onore del famoso Gabbiano Jonathan Livingston protagonista del fortunatissimo romanzo di Richard Bach. Alla Fondazione Giancarlo Zanardo ha donato tutti i suoi aerei.
– uno degli aerei della collezione volante è il biplano De Havilland DH 82A Tiger Moth protagonista del film Il paziente inglese.
– il campo è a disposizione di Aziende e gruppi che desiderino far vivere ai propri dipendenti o soci una giornata indimenticabile in un ambiente davvero entusiasmante, portandoli in volo, facendoli assistere ad evoluzioni acrobatiche, intrattenendoli con conferenze specializzate.
Mariagrazia Innecco

Come andare da Milano a Brattirò (e viceversa) ed essere felici.

C’è chi il viaggio qualche anno fa lo ha fatto in senso contrario: partendo da Brattirò e arrivando dritto dritto in Piazza del Duomo – anzi prima in Città Studi – con tutto l’impeto e la propulsione che può avere un vispo e intelligente ragazzo di 18 anni, vissuto fino ad allora sempre tra Vibo Valentia e Tropea. La metropoli lombarda con tutte le sue ammalianti attrattive, le atmosfere goliardiche, le compagnie femminili sempre idealizzate e finalmente a portata di mano, i ritmi incalzanti, le sfide da cercare, sembrava avessero momentaneamente sopito il suo ben radicato senso di appartenenza alla terra e alle origini della sua cultura. Ma si trattava solo di ebbrezza momentanea, anche se motivata e comprensibile: ben presto il richiamo atavico lo avrebbe riportato ad occuparsi oltre che della sua attività milanese, anche dei terreni ultracentenari della famiglia.

Poi ci sono io che il viaggio l’ho fatto da nord a sud qualche settimana fa. Ahimè non più ragazza, ma ugualmente alla ricerca di sfide, oltre che di persone intelligenti che non abbiano solo ansie da esprimere, e che mi affianchino volentieri nella ricerca dei talenti di cui questa nostra Terra Ballerina è disseminata. Confesso che il nome di questo paese non mi era ancora giunto alle orecchie, e men che meno al cuore, anche se sono sempre attentissima quando si tratta di incamerare informazioni sulla Calabria e le sue innumerevoli sorprendenti località. Brattirò è una frazione di Drapia ed è un nome che mi rasserena già di suo, con questo concetto di futuro che contiene: un po’ partirò, un po’ resterò, un po’ tornerò, ma soprattutto molto… Rombolà e tra poco capirete il perchè.

Prima che qualcuno vada di volata sul web e scopra che Brattirò pullula di vigne e che di conseguenza potrei essermi scolata qualche bicchiere in eccesso di Trupia o di Critajanca, mi faccio seria e racconto la storia, cercando di attenermi il più possibile ai fatti.

Una sera di luglio, già col buio e dopo essermi sorbita le curve che da Gioia Tauro portano fino a sopra Tropea (tante vi assicuro), mi trovai a varcare un cancello oltre al quale, non lo sapevo ancora,  si trova un vero angolo di Paradiso, con tanto di Angeli Custodi (Cico e Cosimo), Padreterno (il benevolo ma attentissimo Alfonso) e Giardino dell’Eden. Me ne sarei accorta il mattino seguente, notando con piacere che al fondo di questa verdissima collina inizia il mare, valore aggiunto che non mi pare menzionato nell‘Antico Testamento. Sole, vento e azzurro a perdita d’occhio, ma soprattutto vigne per 5 dei 10 ettari che compongono la tenuta, coltivate  a terrazza, a tendone, a Guyot, ordinate in modo quasi maniacale, amate come se fossero figlie preziosissime e tenute sempre sotto controllo con visite quotidiane a bordo di piccole e scattanti Panda 4×4 capaci di scendere e risalire da qualsiasi tratturo. Non sono una grande intenditrice, ma sono mezza friulana e mezza trentina, quindi nel vino e tra le vigne ho passato buona parte della mia infanzia, abbastanza per sapere quanta dedizione richieda la loro cura. Senza parlare del prodotto di questa cura, che potrebbe risultare pessimo se si compisse anche solo qualche piccolo, banale errore durante i numerosi passaggi che compongono la vinificazione.

Dicono che la creatività, la sensibilità e l’armonia siano gli ingredienti indispensabili per ottenere un buon vino, almeno quanto lo sono i grappoli sani e una buona attrezzatura di cantina.

Nel caso delle Cantine Rombolà va aggiunta la passione che Alfonso Rombolà – ebbene si è lui il Deus ex Machina di questa impresa vinicola – ha espresso fin da quando scelse di frequentare la facoltà di Agraria specializzandosi con una tesi dedicata a Sua Maestà Olivetta Vibonese, l’unica uva capace di restare intatta fino al mese di gennaio, e che Mister Rombolà vuole a tutti costi riportare agli antichi fasti, a quando cioè la diffusione massiccia dei frigoriferi non aveva ancora alterato con prepotenza le stagioni e le maturazioni.

olivella

Alfonso non riesce a stare tutto il tempo che vorrebbe lontano da Milano e vicino a Brattirò, perchè anche al nord ha avviato imprese fortunate che richiedono la sua presenza. Ogni sua attività rispecchia il suo modo di essere e riflette la sua personalità: gioviale, di compagnia, ospitale ma soprattutto generoso e riconoscente con i suoi collaboratori che lo considerano una rarità di questi tempi frettolosi e superficiali. Sa amare alla follia (non è un eufemismo) il suo paese di origine e sta prodigandosi perchè diventi sempre più accogliente e ordinato. L’ultima, ottima idea che gli è balzata in mente è quella di comprare una serie di vecchie case per rimetterle in sesto creando un albergo diffuso a pochi minuti di auto dalla caotica anche se incantevole Tropea. Stare qualche metro più in alto, oltre che nel verde e nel silenzio più assoluto, non toglierà nulla alla bellezza della vacanza, anzi: quassù fa solo più fresco e si respira meno ossido di carbonio, cosa ideale specie per chi vive 11 mesi l’anno in compagnia di polveri sottili e ossigeno puzzosetto.

Se vorrete andarci anche un po’ fuori stagione, quando la calura si placa e i grappoli sono pronti per essere raccolti dopo aver ricevuto una leggera “doccia” di acqua fresca, vi divertirete a seguire in religioso silenzio, stando un po’ in disparte per non disturbare la concentrazione degli enologi, tutte le fasi della raccolta manuale dei grappoli, della pigiatura soffice, dell’inserimento del mosto nei fermentini che lo terranno ad una temperatura costante e controllata. Ammirerete quanto ancora siano utili i vecchi strumenti ancora perfettamente funzionanti nonostante gli anni di onorato servizio: il primato ce l’ha lo sgargiante trattore OM, sempre all’opera da tempo immemore, ma non scherzano nemmeno l’anziano compressorino o la tappatrice d’epoca, trattati con l’amore e la riconoscenza che si deve riservare agli oggetti preziosi.

Per assistere all’imbottigliamento dovrete invece attendere almeno un mese, e a quel punto rischierete che vi venga voglia di tornare qui per partecipare a dicembre alla raccolta delle olive… e poi forse cadrete nella tentazione di voler venire anche a giugno per le giornate della battitura del grano sull’aia, in un turbine coinvolgente di attività bucoliche antiche ma sempre ricche di fascino, specie per chi non le ha mai vissute. Perchè un’altra delle caratteristiche straordinarie del team Rombolà è proprio la capacità di farti partecipare e sentire uno dei loro, all’unica condizione di essere altrettanto semplici e genuini, oltre che capaci di rispetto di fronte agli spettacoli che ci dona la natura.

Mariagrazia Innecco

 

 

Per avere qualche “dritta” in più e fare eventuali acquisti di vino potrete rivolgervi direttamente alle Cantine Rombolà – Via Fratelli Rombolà – Drapia (VV)          349/0718693 – 335/1425893

Da non pedere in zona, sia per mangiare che per dormire l‘Agriturismo Manitta – Contrada Le Donne, 89862 Brattirò (VV) tel. 0963 68034. I proprietari sono simpaticissimi, lo chef notevole e i prezzi interessanti. C’è anche un bel giardino con un asinello che ho fografato ma non si vede perchè c’era troppo buio.

Infine, una volta che sarete in paese, chiedete del piccolo e profumato panificio artigianale: ve lo sapranno indicare tutti, e così scoprirete che da queste parti anche i panettieri hanno una vita diurna e sono abbronzati. Il fuoco viene acceso di mattina, ma non all’alba: qui si dice che il pane può essere comprato di pomeriggio e non morirà proprio nessuno, anzi, che in questo modo godranno di migliore salute anche coloro che lo fanno. Fa parecchio caldo lì dentro, ma un fuoco tanto meraviglioso incanta anche d’estate: e ancor di più incanta la bontà del pane che ne esce.