C’è chi il viaggio qualche anno fa lo ha fatto in senso contrario: partendo da Brattirò e arrivando dritto dritto in Piazza del Duomo – anzi prima in Città Studi – con tutto l’impeto e la propulsione che può avere un vispo e intelligente ragazzo di 18 anni, vissuto fino ad allora sempre tra Vibo Valentia e Tropea. La metropoli lombarda con tutte le sue ammalianti attrattive, le atmosfere goliardiche, le compagnie femminili sempre idealizzate e finalmente a portata di mano, i ritmi incalzanti, le sfide da cercare, sembrava avessero momentaneamente sopito il suo ben radicato senso di appartenenza alla terra e alle origini della sua cultura. Ma si trattava solo di ebbrezza momentanea, anche se motivata e comprensibile: ben presto il richiamo atavico lo avrebbe riportato ad occuparsi oltre che della sua attività milanese, anche dei terreni ultracentenari della famiglia.
Poi ci sono io che il viaggio l’ho fatto da nord a sud qualche settimana fa. Ahimè non più ragazza, ma ugualmente alla ricerca di sfide, oltre che di persone intelligenti che non abbiano solo ansie da esprimere, e che mi affianchino volentieri nella ricerca dei talenti di cui questa nostra Terra Ballerina è disseminata. Confesso che il nome di questo paese non mi era ancora giunto alle orecchie, e men che meno al cuore, anche se sono sempre attentissima quando si tratta di incamerare informazioni sulla Calabria e le sue innumerevoli sorprendenti località. Brattirò è una frazione di Drapia ed è un nome che mi rasserena già di suo, con questo concetto di futuro che contiene: un po’ partirò, un po’ resterò, un po’ tornerò, ma soprattutto molto… Rombolà e tra poco capirete il perchè.
Prima che qualcuno vada di volata sul web e scopra che Brattirò pullula di vigne e che di conseguenza potrei essermi scolata qualche bicchiere in eccesso di Trupia o di Critajanca, mi faccio seria e racconto la storia, cercando di attenermi il più possibile ai fatti.
Una sera di luglio, già col buio e dopo essermi sorbita le curve che da Gioia Tauro portano fino a sopra Tropea (tante vi assicuro), mi trovai a varcare un cancello oltre al quale, non lo sapevo ancora, si trova un vero angolo di Paradiso, con tanto di Angeli Custodi (Cico e Cosimo), Padreterno (il benevolo ma attentissimo Alfonso) e Giardino dell’Eden. Me ne sarei accorta il mattino seguente, notando con piacere che al fondo di questa verdissima collina inizia il mare, valore aggiunto che non mi pare menzionato nell‘Antico Testamento. Sole, vento e azzurro a perdita d’occhio, ma soprattutto vigne per 5 dei 10 ettari che compongono la tenuta, coltivate a terrazza, a tendone, a Guyot, ordinate in modo quasi maniacale, amate come se fossero figlie preziosissime e tenute sempre sotto controllo con visite quotidiane a bordo di piccole e scattanti Panda 4×4 capaci di scendere e risalire da qualsiasi tratturo. Non sono una grande intenditrice, ma sono mezza friulana e mezza trentina, quindi nel vino e tra le vigne ho passato buona parte della mia infanzia, abbastanza per sapere quanta dedizione richieda la loro cura. Senza parlare del prodotto di questa cura, che potrebbe risultare pessimo se si compisse anche solo qualche piccolo, banale errore durante i numerosi passaggi che compongono la vinificazione.
Dicono che la creatività, la sensibilità e l’armonia siano gli ingredienti indispensabili per ottenere un buon vino, almeno quanto lo sono i grappoli sani e una buona attrezzatura di cantina.
Nel caso delle Cantine Rombolà va aggiunta la passione che Alfonso Rombolà – ebbene si è lui il Deus ex Machina di questa impresa vinicola – ha espresso fin da quando scelse di frequentare la facoltà di Agraria specializzandosi con una tesi dedicata a Sua Maestà Olivetta Vibonese, l’unica uva capace di restare intatta fino al mese di gennaio, e che Mister Rombolà vuole a tutti costi riportare agli antichi fasti, a quando cioè la diffusione massiccia dei frigoriferi non aveva ancora alterato con prepotenza le stagioni e le maturazioni.
Alfonso non riesce a stare tutto il tempo che vorrebbe lontano da Milano e vicino a Brattirò, perchè anche al nord ha avviato imprese fortunate che richiedono la sua presenza. Ogni sua attività rispecchia il suo modo di essere e riflette la sua personalità: gioviale, di compagnia, ospitale ma soprattutto generoso e riconoscente con i suoi collaboratori che lo considerano una rarità di questi tempi frettolosi e superficiali. Sa amare alla follia (non è un eufemismo) il suo paese di origine e sta prodigandosi perchè diventi sempre più accogliente e ordinato. L’ultima, ottima idea che gli è balzata in mente è quella di comprare una serie di vecchie case per rimetterle in sesto creando un albergo diffuso a pochi minuti di auto dalla caotica anche se incantevole Tropea. Stare qualche metro più in alto, oltre che nel verde e nel silenzio più assoluto, non toglierà nulla alla bellezza della vacanza, anzi: quassù fa solo più fresco e si respira meno ossido di carbonio, cosa ideale specie per chi vive 11 mesi l’anno in compagnia di polveri sottili e ossigeno puzzosetto.
Se vorrete andarci anche un po’ fuori stagione, quando la calura si placa e i grappoli sono pronti per essere raccolti dopo aver ricevuto una leggera “doccia” di acqua fresca, vi divertirete a seguire in religioso silenzio, stando un po’ in disparte per non disturbare la concentrazione degli enologi, tutte le fasi della raccolta manuale dei grappoli, della pigiatura soffice, dell’inserimento del mosto nei fermentini che lo terranno ad una temperatura costante e controllata. Ammirerete quanto ancora siano utili i vecchi strumenti ancora perfettamente funzionanti nonostante gli anni di onorato servizio: il primato ce l’ha lo sgargiante trattore OM, sempre all’opera da tempo immemore, ma non scherzano nemmeno l’anziano compressorino o la tappatrice d’epoca, trattati con l’amore e la riconoscenza che si deve riservare agli oggetti preziosi.
Per assistere all’imbottigliamento dovrete invece attendere almeno un mese, e a quel punto rischierete che vi venga voglia di tornare qui per partecipare a dicembre alla raccolta delle olive… e poi forse cadrete nella tentazione di voler venire anche a giugno per le giornate della battitura del grano sull’aia, in un turbine coinvolgente di attività bucoliche antiche ma sempre ricche di fascino, specie per chi non le ha mai vissute. Perchè un’altra delle caratteristiche straordinarie del team Rombolà è proprio la capacità di farti partecipare e sentire uno dei loro, all’unica condizione di essere altrettanto semplici e genuini, oltre che capaci di rispetto di fronte agli spettacoli che ci dona la natura.
Mariagrazia Innecco
Per avere qualche “dritta” in più e fare eventuali acquisti di vino potrete rivolgervi direttamente alle Cantine Rombolà – Via Fratelli Rombolà – Drapia (VV) 349/0718693 – 335/1425893
Da non pedere in zona, sia per mangiare che per dormire l‘Agriturismo Manitta – Contrada Le Donne, 89862 Brattirò (VV) tel. 0963 68034. I proprietari sono simpaticissimi, lo chef notevole e i prezzi interessanti. C’è anche un bel giardino con un asinello che ho fografato ma non si vede perchè c’era troppo buio.
Infine, una volta che sarete in paese, chiedete del piccolo e profumato panificio artigianale: ve lo sapranno indicare tutti, e così scoprirete che da queste parti anche i panettieri hanno una vita diurna e sono abbronzati. Il fuoco viene acceso di mattina, ma non all’alba: qui si dice che il pane può essere comprato di pomeriggio e non morirà proprio nessuno, anzi, che in questo modo godranno di migliore salute anche coloro che lo fanno. Fa parecchio caldo lì dentro, ma un fuoco tanto meraviglioso incanta anche d’estate: e ancor di più incanta la bontà del pane che ne esce.